Il Marchese Falletti di Barolo, modello esemplare per la pedagogia cattolica

Carlo Tancredi Falletti di Barolo è stato un esempio straordinario di politico e pedagogo cattolico, da imitare e da prendere come riferimento soprattutto ai nostri giorni per una vera rinascita della scuola cattolica in Italia.

a cura di Valerio Duilio Carruezzo

Accade frequentemente che grandissime personalità che hanno segnato il corso della storia, vengano poi da essa volutamente dimenticate ed occultate, per la loro opposizione ai progetti ed alla volontà corrotta del mondo.

E’ questo il caso del Marchese Carlo Tancredi Falletti di Barolo, un uomo sapiente e di integerrima moralità, un marito virtuoso, un vero cattolico che ha saputo coniugare mirabilmente la Fede e la ragione, la fermezza e la dolcezza, facendo risplendere la vera cristianità nella vita quotidiana e nell’assolvimento dei suoi doveri, a Gloria di Dio e a beneficio delle anime, specialmente dei più bisognosi, ma che soprattutto è stato un modello esemplare per una retta e sana opera pedagogica.


Nacque a Torino il 26 ottobre 1782, pochi anni prima della Rivoluzione Francese, da una delle più antiche e nobili famiglie piemontesi. Fu battezzato il giorno successivo nella chiesa di San Dalmazzo.

Dal padre Giuseppe Ottavio, politico e letterato di orientamento illuminista, ereditò l’amore per gli studi, dalla madre Maria Ester Paolina d’Ancieux de la Bàthie e de Chaffardon, aristocratica di casa Savoia e donna di profonda fede, ereditò la grande bontà ed intensa religiosità.

Viaggiò col padre in Germania, Olanda, Svizzera e Francia, accrescendo la sua cultura e interessandosi dei problemi economici, amministrativi e sociali del suo tempo, conservando però, sempre un’esemplare umiltà.

Rifuggiva gli onori e non gradiva l’ammirazione, pur essendo intelligente e talentuoso, sensibile, nobile e generoso nell’anima come nel portamento.

Juliette Colbert (1785-1864), moglie del Marchese.

Si sposò a Parigi il 18 agosto 1806 con la contessina Juliette Colbert de Maulèvrier, per volontà dell’imperatore Napoleone Bonaparte, ma tra i due nacque immediatamente un’intesa perfetta e l’amore crebbe sempre più, in una mirabile unione di fede e d’intenti.

In quel periodo, a Parigi, incontrarono molte importanti personalità dell’ambiente cattolico, politico e letterario, facendo molte conoscenze che si sarebbero poi rivelate d’importante sostegno per le future opere.

Ebbero modo anche di prendere visione dei progetti che si stavano concretizzando in Europa in ambito educativo.

Il Marchese si oppose radicalmente alle idee rivoluzionarie, anche perché sua moglie era di origine vandeana e da bambina aveva assistito al genocidio dei cattolici in quella regione, compiuto dal governo repubblicano, vedendo decapitare anche alcuni suoi parenti.

Si adoperò strenuamente nell’aiuto concreto alle persone indigenti della città di Torino, sia del centro urbano che delle campagne e zone industriali, tanto che lui e la consorte furono successivamente chiamati “Padre” e “Madre dei poveri”, non avendo avuto il dono di figli propri.

Palazzo Barolo di giorno era aperto ai bisognosi, di sera ai migliori intellettuali piemontesi, per discutere di cultura e di politica.

Carlo Tancredi ricoprì un ruolo esimio nella pubblica amministrazione cittadina, promuovendo un impegno fondato sulla concezione cristiana dell’uomo e della storia, in opposizione al liberalismo democratico.

Fu decurione a vita, Sindaco, Consigliere di Stato nel Regno Albertino, Segretario del Consiglio degli affari generali e della Pubblica Istruzione, molto stimato e consultato dal re Carlo Alberto per la sua serietà, saggezza e virtù morale e intellettuale, oltre che per la sua grande umiltà, anche nei ruoli di comando che accettò solamente con la speranza di potersene servire per fare del bene.

Come sindaco, nel 1826, sostenne gli indigenti con sussidi in denaro e con oltre seimila razioni di legna, per affrontare il durissimo inverno; intervenne per l’inserimento nelle scuole di programmi speciali per i sordomuti; risanò le prigioni delle Torri palatine, a beneficio dei carcerati; risollevò le condizioni igieniche e sanitarie della città; creò nuovi giardini pubblici, strade e piazze.

Offrì di propria tasca trecentomila lire per la realizzazione di quello che sarà il primo nucleo dell’attuale Cimitero monumentale di Torino.

Nel secondo anno di mandato, il 1827, stabilì in particolare una Cassa di Risparmi e si dedicò alla riforma delle scuole, sempre mosso da autentica carità cristiana e da fervore evangelico.

Egli era convinto che l’ordine sociale dovesse essere promosso, piuttosto che con la vigilanza, il castigo e la repressione, con una sana opera di prevenzione, agendo alla radice delle cause di povertà, emarginazione e delinquenza.

Impiegò, dunque, moltissime risorse nell’opera di istruzione dell’infanzia, perché, come scrisse egli stesso: “un soccorso ben ordinato a favore della prima infanzia, serve in seguito a risparmiare tante altre limosine a pro di madri senza lavoro, di giovani senza mestiere, di persone inette o traviate e d’altre indisposte, deboli o malaticce”, portando “per direttissime vie all’abolizione della mendicità, al miglioramento della morale pubblica ed alla vera prosperità dello Stato”.

Finanziò, inoltre, personalmente la massima parte dei suoi progetti benefici.


Il suo più grande successo, tuttavia, fu nella realizzazione della sua vocazione alla pedagogia.

Nei suoi viaggi in Europa apprese tecniche e metodi didattici da diverse realtà educative cattoliche, compiendo studi sull’analfabetismo e sui sistemi per contrastarlo fin dalla tenera età.

Maturò, così, una preparazione che gli consentì di elaborare un metodo di istruzione dell’infanzia mirabile, in opposizione ai sistemi liberali di stampo rivoluzionario, definiti dal filosofo Jean-Jacques Rousseau e dai suoi seguaci.

Ne conseguì la fondazione del primo asilo in Italia nel 1825, le cui basi furono già poste nel 1823, con l’avvio informale dell’assistenza ai bambini di ceto popolare e operaio, come si legge nello scambio epistolare con l’intellettuale Alphonse de Lamartine.

Così testimoniò nel 1839, anche il senatore Carlo Bon Compagni, asserendo che il marchese di Barolo “primo in Italia, apriva un asilo ai poveri bambini”, mentre Ferrante Aporti, erroneamente ritenuto pioniere dell’educazione scolastica infantile, aprì il suo solamente nel 1830.

A tal proposito è anche importante la conferma di Pietro Baricco, grande sacerdote e benefattore, che affermò:

“Il primo asilo d’infanzia italiano, lo diciamo con vera compiacenza, fu aperto in Torino dal Marchese Tancredi Falletti di Barolo. Questo nobile patrizio, che aveva grande ingegno e, che è più, gran cuore, nel 1825 accolse nel suo palazzo la scuola per gl’infanti, tenendola in conto di una cara famiglia”.

In quell’anno, infatti, furono aperte ufficialmente le “Stanze di ricovero per i fanciulli”, a Palazzo Barolo, gratuite e rivolte all’infanzia indigente, per accogliere in un posto sicuro i piccoli trascurati dai genitori e che non potevano frequentare le scuole convenzionali, i figli delle persone viziose e biasimevoli, operai e operaie in condizioni difficili, per i quali era anche frequente cadere nell’alcolismo.

Oggi Palazzo Barolo ospita la sede del Museo della Scuola e del Libro per l’Infanzia.

All’inizio furono incaricate delle maestre laiche, con una rigorosa selezione, ma la difficoltà nel reperirne di qualificate, portò il Marchese ad avvalersi dell’opera di insegnanti religiose, per prime le Suore della Provvidenza di Portieux, provenienti da Domodossola, con l’aiuto di Padre Antonio Rosmini.

Si davano lezioni di catechismo, di lettura, di applicazione del primo sillabare; si pregava, si leggevano le Sacre Scritture, si cantavano le lodi e si facevano passeggiate e giochi.

Il fine era di “infondere in que’ teneri animi i precetti più essenziali della vera morale, cioè della religione e fra questi il timor di Dio, il rispetto ai genitori, l’ubbidienza, l’amorevolezza vicendevole e la veracità”.

Secondo Carlo Tancredi quello che si apprende nelle prime fasi della vita rimarrà per sempre e ciò che risponde ai principi ed alla Verità di Dio è semplice, logico e da inculcare in modo prioritario nelle giovani anime.

Nel suo libro “Sull’educazione della prima infanzia” scriveva:

“Non sia mai che la vera carità si stanchi di rivangare con amorevole sollecitudine ogni sventura più minuta o più disgustosa della condizione umana”.

Si trattava, dunque, di un’opera interamente votata alla carità cristiana, perché il seme che si pianta nell’animo dei bambini è poi assolutamente decisivo per l’indirizzo di tutta la loro esistenza.

Il Marchese, infatti, sosteneva che costa molto meno fornire un buon orientamento a cento ragazzi, piuttosto che riparare i danni di un solo uomo privato di una corretta istruzione.

Nel 1829 si adoperò perché l’Amministrazione comunale affidasse la gestione di tutte le scuole della città ai Fratelli delle Scuole Cristiane.

Per lui era importante anche il contributo dei genitori, per far comprendere ai figli l’importanza del lavoro e realizzare una continuità educativa tra scuola e casa.

Considerava anche essenziale la formazione professionale, per la realizzazione personale dei giovani e il loro allontanamento dalla delinquenza, dall’alcool, mediante la responsabilità e l’indipendenza economica.

L’intento era di far fruttare i talenti donati da Dio a ciascuno, pensando all’occupazione da scegliere fin dall’adolescenza, consultandosi con sagge guide e soprattutto pregando.

Carlo Tancredi pensò anche ai disabili, in particolare agli audiolesi, predisponendo per loro dei luoghi di istruzione, a spese del Comune di Torino, collaborando con la scuola Scagliotti per sordomuti, uno dei primi istituti fondati in Italia a questo fine, per i minori di famiglie disagiate.

Intervenne anche nella “Regia Accademia di pittura”, trasformando i corsi superiori di belle arti, gratuiti, in corsi professionali, facilitandone l’accesso ad artigiani ed operai.

Nel dicembre del 1832 ricevette l’incarico di “Segretario della Deputazione per l’istruzione”, impegnandosi alacremente per la riforma della scuola, con il sostegno all’istruzione gratuita e all’apertura di istituti privati, la definizione dei premi per gli alunni meritevoli e la frequenza dei Sacramenti nelle scuole di grado inferiore.

Il 10 dicembre 1834, fatto rarissimo da parte di un laico, fondò la congregazione delle “Suore di Sant’Anna della Provvidenza”, in accordo con la moglie e sempre presso Palazzo Barolo, chiamate da lui le “sue figlie predilette”.

Le loro prime costituzioni furono redatte con la collaborazione delle stesse religiose e di alcuni esperti sacerdoti, furono approvate nel 1841 dall’Arcivescovo di Torino Luigi Fransoni.

Il primo articolo recitava:

«L’Istituto delle Suore di S. Anna della Provvidenza di Torino si dedica principalmente ad essere (ovunque sarà volontà di Dio espressa per bocca dei loro superiori), come strumento della Divina Provvidenza nel procacciare alla classe indigente l’educazione tanto della prima infanzia che delle figlie adulte nei villaggi e paesi poveri, disponendosi altresì a rendere al loro prossimo qualunque altro servizio di carità conforme allo stato che in caso di necessità venisse loro comandato dai loro superiori».

Lo scopo era, dunque, di educare i giovani e le fanciulle della classe popolare, ma anche di quella medio-alta, nella piena consapevolezza che l’ignoranza è la peggiore povertà e che l’educazione è la somma carità.

L’obiettivo primario era formare le giovani alla morale cristiana, per generare nella fede future madri che fossero fermento evangelico per i loro figli.

Il 29 giugno del 1835 il Marchese aderì alla “Società d’incoraggiamento per le arti del disegno” di Varallo, per rivitalizzare la scuola di disegno gratuita ed offrite ai giovani l’opportunità di orientarsi al lavoro di artigianato artistico.

Nel 1836 aprì a proprie spese un laboratorio di scultura in legno.

Nel 1837 scrisse: “Brevissimi cenni diretti alla gioventù che frequenta le Scuola italiane, intorno ai vari stati che da essa possonsi eleggere ed alle disposizioni con cui si debbono abbracciare”, per i giovani indecisi sulla professione da scegliere.

Qui emerge anche il patriottismo ed il concetto d’Italianità proprio della tradizione cattolica, contrario a quello del liberalismo massonico e anticlericale, perché non si riferisce allo Stato, ma alla nazione che include un’identità ed una comunione di religione, lingua e cultura.

Con numerose altre opere, fu, dunque, autore anche di una vasta produzione letteraria.

Nel gennaio del 1838 diventò Deputato Segretario per le Scuole, ruolo che ricoprì per breve tempo, poiché rimase vittima del colera, che aveva colpito Torino a partire dal 1835 e che, pure, si era prodigato a contrastare, favorendo le misure igienico-sanitarie preventive e promuovendo preghiere e ricorsi pubblici al soccorso divino.

Il Marchese Carlo Tancredi Falletti di Barolo morì a Chiari il 4 settembre 1838.

Chiesa di Santa Giulia a Torino, dove vengono custodite le spoglie mortali dei coniugi Falletti di Barolo.

 

Così vessato e dimenticato dalla storia e dalla pedagogia statale ha dimostrato come è possibile offrire a tutti un’autentica educazione cristiana, libera proprio perché cattolica.

In una società già in piena secolarizzazione ha creato degli spazi di formazione della persona umana in pienezza ed integrità, nel fisico e soprattutto nell’anima.

Costituisce, insieme alla consorte Giulia, un modello esemplare di uomo politico e di pedagogo, i cui insegnamenti sono da porre come granitiche fondamenta e sfolgorante punto di riferimento nell’impegno per una vera rinascita dell’istruzione cattolica, tanto più di quella della prima infanzia, per lo sviluppo di sane coscienze ed esistenze virtuose, quanto mai urgente in quest’Italia consumata dalla corruzione morale, fisica e spirituale.

A chi ha difeso la Verità e, per questo, è occultato dagli uomini, per ideologia e malafede, è necessario che sia restituito il giusto posto d’onore.