Dina Bélanger: una vita tra ascesi e musica


“Dio ha assorbito il mio essere tutto intero; annientata in Cristo Gesù, vivo per Lui nell’Adorabile Trinità la vita dell’eternità; Lui, Cristo Gesù vive al mio posto sulla terra”.

Dopo l’amore per Cristo Gesù, veniva quello per la musica. E diversi sono i tratti biografici in comune che connettono la personalità di Dina Bélanger con alcuni importanti musicisti del passato.

Il Canada la vede nascere a Québec, città a Nord-Est di quella Toronto in cui nascerà, invece, tre anni dopo la sua morte avvenuta nel 1929, l’eccentrico, famoso e controverso pianista Glenn Gould. Eppure ventisette sono i giorni che separano la nascita di Dina dalla morte, nel 1897, del compositore tedesco Johannes Brahms. E’ il 4 Settembre. Con Chopin condivide la cagionevole salute e il decesso per tubercolosi sopraggiunto per lei alla giovane età di trentadue anni. Un dramma che sorprende relativamente la storiografia musicale: Mozart spirò a trentacinque anni, Pergolesi a ventisei, Schubert a trentuno, Mendelssohn a trentotto, lo stesso Chopin a trentanove.

Suora, col nome di Maria di Santa Cecilia Romana, vestì l’abito nel 1922, fatto che la rende vicina nella vita religiosa a quella badessa Raffaella Aleotti (1575-1640) che quattro secoli prima, a Ferrara, incarnava una figura proto-direttoriale impugnando per la prima volta la “lunga, sottile e ben polita verghetta” con cui “senza strepito alcuno” dirigeva l’esecuzione musicale delle consorelle sedute a tavola con lei. Vicina ancora alla monaca Hildegard von Bingen (1098-1179) nota maggiormente per la tempra austera e mistica delle sue composizioni vocali.

Pianista e compositrice, esigua la sua produzione musicale (ci sono note dieci composizioni) ma, al contrario, sebbene ella stessa si definisse una mediocre esecutrice, notevole era la sua bravura. I suoi intensi studi ce lo confermano: inizia lo studio del pianoforte all’età di otto anni mentre nel Gennaio del 1914 ottiene il diploma di “classe superiore” e poco dopo il titolo di professoressa che la rende idonea all’insegnamento.

“Eccellente” è la menzione con cui viene segnalata la proficuità dei suoi studi nel Conservatorio di New York dove si trasferì nel 1916 all’età di 19 anni per perfezionarsi nella conoscenza della composizione e dell’armonia.

Tornata in famiglia quattro anni più tardi, prosegue lo studio dello strumento e dell’armonia per altri tre anni e ad esso affianca un’attività concertistica accolta con entusiasmo dal pubblico. Tutto ciò a titolo di beneficenza.

Instancabile la sua attività didattica che non cessò nemmeno sul letto di morte da dove dava consigli alle colleghe, componendo musica e trascrivendo partiture musicali.

Tra le opere della sua maturità, quattro sono di natura pianistica e tra esse emerge Ricordanza del Giugno del ‘19. Scritta nella radiosa tonalità di La Maggiore, in forma di Lied tripartita (ABA), l’opera si apre e si conclude con un tema di festosa marcia scandita con piglio accordale. Due episodi, questi, che gravitano attorno ad un pivot centrale di tema e variazioni. Qui la scrittura si fa più raffinata, elegante e fantasiosa in un caleidoscopio di atmosfere intenzionalmente evocative, volutamente biografiche: ora spensierata, ora introspettiva, ora irrequieta, ora scherzosa, ora luttuosa, via via in una pacata rincorsa al ritrovamento di un ultimo spazio di luminosa serenità. Evidente senso della forma, ampia cantabilità della mano destra, solidità tematica, nitido il tracciato armonico; il pensiero compositivo della Bélanger che schiva il virtuosismo pirotecnico di Liszt, il cromatismo irrisolto di Wagner, le evanescenze esotiche di Debussy, la morbosità di certo Schumann, sembra piuttosto ammiccare alla vena melodica di Schubert e Mendelssohn più vicini alla tradizione della prima scuola viennese che non agli eccessi tardo-romantici.

Va confessato un certo senso di stupore: un’opera come questa non pare rispecchiare la vita fin lì vissuta dalla Nostra. Ciò se si tiene conto delle tante sofferenze da lei conosciute a partire dagli undici anni, quando iniziò il suo rapporto mistico con Gesù. Una perla nelle cui sonorità solo appena possono essere trasentiti il dubbio, la lotta, la tentazione, la malattia, i tormenti. Più facilmente si intuisce la gioia della fede, l’incrollabilità dell’amore di fronte al dolore, il pio fervore di un’anima a Cristo unita e in Cristo misticamente morta. La musica di Dina Bélanger pare superare un lungo travaglio vissuto con quella santa sopportazione che non mancò di attribuirle la fama di virtù e che spinse Papa Giovanni Paolo II a beatificarla nel Marzo del 1993.

M° Mattia Maria Giusti